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"Struttura, materia e colore. Franco Giuli con Piero Dorazio 1969-1975"

Exhibition dates: 20/02 - 28/03/2025

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Testo italiano / English text -scroll- 

Dal 20 febbraio al 28 marzo 2025 la galleria 10 A.M. ART, in collaborazione con Lorenzelli Arte, organizza nella propria sede in corso San Gottardo, 5 a Milano, a cura di Paolo Bolpagni, una mostra retrospettiva dedicata all’artista marchigiano Franco Giuli (1934-2018), uno dei protagonisti da riscoprire delle ricerche aniconiche, neo-costruttiviste e ottico-dinamiche in Italia, autore di una produzione varia ma compatta, di grande qualità e valore. La scelta è di concentrarsi su una fase specifica del suo lavoro, tra la fine degli anni Sessanta e i Settanta, ponendone a confronto le opere con due oli su tela di Piero Dorazio, cui Giuli era allora legato da una profonda amicizia e da stima reciproca, oltre che da alcune consonanze. Così scrive nel proprio testo di presentazione il curatore:

 

La figura di Franco Giuli, instancabile e coerente ricercatore della visualità, è di quelle che rischiano di non essere abbastanza considerate, per una certa ritrosia del personaggio, per il suo rifuggire da ogni clamore scandalistico, per la serietà composta del lavoro artistico, condotto sempre con rigore e inventiva, unendo esprit de géométrie e esprit de finesse, per dirla con la terminologia di Blaise Pascal. Al centro dell’attenzione, per lui, ci sono stati gli elementi essenziali del lessico pittorico: le strutture formali, la materia e il colore. Di qui la scelta del titolo della retrospettiva ora dedicatagli, a poco più di sei anni dalla sua scomparsa.

Scorrere l’elenco degli studiosi e dei critici che si sono occupati della produzione di Giuli è impressionante: giusto per citarne alcuni, Giulio Carlo Argan, Giuseppe Marchiori, Luciano Caramel, Enrico Crispolti, Rossana Bossaglia, Umbro Apollonio, Giorgio Di Genova, Lara-Vinca Masini, Filiberto Menna, Giovanni Maria Accame, Giorgio Cortenova, Franco Solmi, Cesare Vivaldi, Nello Ponente, Italo Tomassoni, Carlo Melloni, Armando Ginesi e, per venire ai viventi, Luigi Lambertini, Bruno Corà, Giancarlo Politi, Lorenzo Canova. Non si può dire, insomma, che Giuli sia stato trascurato dalla critica, che ha sempre ravvisato in lui un validissimo esponente dell’astrazione geometrica italiana, dagli anni Sessanta in poi. Evidente è la matrice costruttivista e bauhausiana (soprattutto del Kandinskij di Punto e linea sulla superficie) della sua arte, che s’iscrisse nella scia internazionale della “Nuova Tendenza”, ma evitando l’adesione ai movimenti, alle compagini e ai sodalizi all’epoca tanto in voga (in Italia i gruppi N a Padova, T a Milano e 63 a Roma, lo Zero in Germania, l’Equipo 57 in Spagna, in Francia il GRAV, nei Paesi Bassi il Nul…). Giuli ha preferito porre un distanziamento fra sé e gli atteggiamenti per così dire militanti di quella stagione, rivendicando implicitamente una libertà d’azione e di ricerca che fa di lui un indagatore appartato dei meccanismi della percezione e delle modalità attraverso cui le figure geometriche si definiscono sul supporto dell’opera, creando effetti di tridimensionalità, di movimento, di apparente inganno ottico. Argan, nel 1977, lo collocò tra i protagonisti di «un’analisi ordinata e metodica sulla superficie del quadro», sulla «relazione tra forme solide e le relative ombre», sui «modi ed i limiti del progetto in pittura».

Nel corso dei decenni Giuli ha sperimentato tecniche e materiali differenti, dal cartone al legno, dalla juta al collage, approdando a esiti che talora proiettano l’opera in direzione dell’osservatore, con sollevamenti, increspature, incastri, aggetti, rilievi. Nella mostra alla 10 A.M. ART, però, ci si è voluti soffermare su un momento preciso della sua attività, compreso fra il 1969 e il 1975, con pochi e lievi “sconfinamenti” cronologici. È una fase in cui Giuli pratica la pittura ad acrilico su tela, realizzando lavori di un virtuosismo trascendentale, dai colori saturi e squillanti, di formato prevalentemente quadrato (quello che più di tutti scongiura le aggregazioni visive e i magari inconsapevoli rimandi iconici, rappresentativi), che talvolta evocano il ricordo di un macchinismo d’ascendenza secondo-futurista, alla Ivo Pannaggi. D’altro canto la storica dell’arte Laura Turco Liveri rammentò non a sproposito, in un testo pubblicato nel catalogo della grande retrospettiva che si tenne nel 2000 alla Mole Vanvitelliana di Ancona, che la zona dove Giuli era nato, nei pressi di Fabriano, era agricola, e che «il ragazzo, a contatto con trattori e trebbiatrici», dovette osservarne gli ingranaggi di funzionamento, restandone affascinato, e definendo in sé un immaginario peculiare, di cui è giusto tener conto, pur senza enfatizzare troppo tale background.

Di fatto, negli anni Settanta il pittore riflette sul concetto di “struttura”, sugli elementi costitutivi della creazione formale, e sull’idea di un’illimitata generatività di essi, in una continua proiezione verso lo sviluppo delle facoltà combinatorie delle componenti visive e della modalità di costruzione dell’opera. Al tempo Giuli era molto legato a Piero Dorazio, che nel 1992, in occasione di una mostra dell’amico alla Galleria Zammarchi di Milano, gli dedicherà un testo illuminante, ponendo in risalto la «consistenza» della sua produzione nell’àmbito dell’arte non-oggettiva, e la costanza, immune da ogni tentazione di ossequio alle oscillazioni del gusto, di una ricerca linguistica improntata a un lessico geometrico, fondata sui parametri del modernismo: un’esplorazione, per usarne le parole esatte, delle «probabilità di individuare spazi e ritmi plastici per mezzo di elementi semplici ma dotati di una formidabile carica cromatica». Da parte dell’indefesso sperimentatore delle interferenze e delle “tessiture” di colori, delle sapienti e raffinate impaginazioni di segni-luce, era un’attestazione di stima e di consonanza espressiva e metodologica, che ci induce a riflettere sulle molte interrelazioni di una stagione della pittura italiana che, al di là delle categorizzazioni, talvolta un po’ castranti, appare ancora meritevole di analisi attente ed esenti da precognizioni e schematismi.

From 20 February to 28 March 2025 the Galleria 10 A.M. ART is organizing, in collaboration with Lorenzelli Arte, a retrospective dedicated to Franco Giuli (1934–2018), curated by Paolo Bolpagni, at no. 5 Corso San Gottardo in Milan. The exhibition is an opportunity to rediscover this artist from the Marche, one of the leading exponents of non-figurative, Neo-Constructivist and optical-dynamic research in Italy, whose varied yet consistent production is of exceptional quality and significance. We have chosen to focus on a specific phase of his art, from the end of the 1960s to the mid-1970s, juxtaposing Giuli’s works with two oils on canvas by Piero Dorazio, with whom he enjoyed a profound friendship and mutual respect, and shared certain affinities. As the curator writes in his introductory text:

 

An untiring and coherent researcher of the image, Franco Giuli is one of those artists who risks being undervalued, due to a certain reticence, an aversion to any form of sensationalism, and a quiet, serious approach to his work, to which he always brought rigour and inventiveness, combining esprit de géométrie with esprit de finesse, to say it with Blaise Pascal. His focus was always on the essential elements of the pictorial lexicon: formal structures, material and colour, which have provided the title of this retrospective dedicated to him just over six years after his passing.

The list of scholars and critics who have concerned themselves with Giuli’s production is impressive. They include: Giulio Carlo Argan, Giuseppe Marchiori, Luciano Caramel, Enrico Crispolti, Rossana Bossaglia, Umbro Apollonio, Giorgio Di Genova, Lara-Vinca Masini, Filiberto Menna, Giovanni Maria Accame, Giorgio Cortenova, Franco Solmi, Cesare Vivaldi, Nello Ponente, Italo Tomassoni, Carlo Melloni, Armando Ginesi and, among the living, Luigi Lambertini, Bruno Corà, Giancarlo Politi and Lorenzo Canova – and these are only some! It could never be said, in fact, that Giuli was neglected by critics, who have always considered him a worthy exponent of Italian geometric abstraction from the 1960s on. Clearly rooted in Constructivism and the Bauhaus (and especially the Kandinsky of Point and Line to Plane) his art followed in the international wake of New Tendencies, but without adhering to any of the movements, groups and associations so fashionable at the time (the Gruppo N in Padua, Gruppo T in Milan and Gruppo 63 in Rome, in Italy; the Zero Group in Germany; Equipo 57 in Spain; GRAV in France; Nul in the Netherlands…). Giuli preferred to distance himself from the “militant” attitudes of that period, implicitly laying claim to a freedom of action and research that literally set him apart in his investigation of the mechanisms of perception and the ways of defining geometric figures on the support to create three-dimensional effects, movement and optical illusion. In 1977 Argan placed him among the leading practitioners of “an orderly and methodical analysis of the pictorial surface”, of the “relationship between solid forms and their shadows”, and the “modalities and limits of design in painting”.

Over the decades Giuli experimented with different techniques and materials, from cardboard to wood, from burlap to collage, achieving effects that sometimes projected the work towards the viewer, by means of raised or undulating areas, dovetailing, protruding elements and relief. In the exhibition at 10 A.M. ART, however, we have chosen to concentrate on a specific period in his career, between the years 1969 and 1975, occasionally moving slightly out of this time frame. It was a phase in which Giuli painted in acrylic on canvas, creating works in saturated, brilliant colours and mainly a square format (which more than any other averts visual aggregations and even unconscious figurative or representational references), which possessed a transcendental virtuosity and at times were reminiscent of the concern with the machine aesthetic of the second Futurism, in the manner of Ivo Pannaggi.  Moreover, art historian Laura Turco Liveri aptly reminds us in a text published in the catalogue of the artist’s major retrospective at the Mole Vanvitelliana in Ancona in 2000, that the area around Fabriano, where Giuli was born, was agricultural and that as a “youth who grew up with tractors and threshing machines”, he must have observed their functional systems and been fascinated by them. This would have determined in him a specific imagery, which it is only fair to take into account, but without over-emphasizing the importance of such a background.

In fact, in the 1960s the painter reflected on the concept of “structure”, on the constitutive elements of formal creation and on their unlimited generativity, by constantly seeking to develop the possible combinations of the visual components and the ways of constructing the work. At the time, Giuli was very close to Piero Dorazio, who in 1992, on the occasion of a show devoted to his friend at the Galleria Zammarchi in Milan, dedicated an enlightening text to him. His essay highlighted the “consistency” of his production in the sphere of non-objective art, and the constancy, immune to the temptation of kowtowing to the whims of taste, of his linguistic research characterized by a geometric lexicon founded on the parameters of modernism. It was a means of exploring the “probabilities of identifying spaces and plastic rhythms through elements that were simple yet had a powerful chromatic impact”, to quote Dorazio.

Coming from an artist who experimented so tirelessly with overlaps, the “weaving” of colours, and artful and refined layouts of signs and light, this was not only a testimony of esteem, but also revealed an expressive and methodological affinity. This leads us to consider the many interrelationships of a period of Italian painting which, aside from labels – that are somewhat emasculating – still merits careful analysis without preconceptions or classifications.

Opening:

20 February 2025, 5.00 pm

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